La visita del dottore (Aldo Baldi) - 22/05/2015

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    Ecco un racconto che sembra uno scorcio vita reale d'altri tempi,anche se il dubbio permane sempre...
    In un passo,si parla del clistere che il medico ordinava sempre come preliminare per la cura,
    qualunque fosse la malattia e l'età...
    Grandi o piccoli,malati o sani...
    calare i calzoni...ugello di plastica rigida nel sedere e.....clistere...

    Ecco il Link
    www.ricordipievarini.it/articolodett.php?id=40

    Ecco la parte del racconto che riguarda clistere ed iniezioni :
    I dolori veri arrivavano quando il dottore se ne andava, perché bisognava cominciare la cura che quasi sempre iniziava con un bel clistere di acqua tiepida e camomilla. Mi ricordo molto bene la macchina per fare i clisteri appesa ad uno scuretto della finestra, pronta per la sua funzione e gli urli di noi ragazzi che ogni volta ce lo dovevamo sopportare. La macchina che oggi non esiste più, se Dio vuole, aveva il serbatoio di vetro e un lungo tubo di gomma che terminava con il beccuccio provvisto di rubinetto di chiusura. Appena c’era qualcuno malato, la famigerata macchina faceva la sua comparsa, perché era opinione diffusa che prima di tutto bisognava liberare l’intestino e con quella macchina l’effetto era sicuro.

    Se c’era bisogno di punture, la mamma tirava fuori dal cassetto la scatola di alluminio che conteneva l’ago e la siringa di vetro; le siringhe monouso non esistevano e perciò tutte le volte che ce ne era bisogno, veniva tirata fuori la siringa di famiglia, che veniva sterilizzata facendola bollire. La puntura poi ce la veniva a dare la Renata, sorella del casellante Beppe della Pieve, che arrivava a casa nostra sul sellino posteriore del motorino del fratello.




    Racconto integrale
    La visita del dottore (Aldo Baldi) - 22/05/2015
    www.ricordipievarini.it/articolodett.php?id=40
    Aldo Baldi

    Alla conclusione del secondo conflitto mondiale il tenore di vita delle famiglie era in generale molto basso, c’era penuria di ogni cosa; anche l’assistenza sanitaria era ridotta all’essenziale e tranne qualche raro caso di ricovero in ospedale, per il resto faceva tutto il medico che oggi chiamiamo “di base”. Perfino i parti avvenivano in casa, con l’assistenza della “balia”. Alla Pieve c’era un solo dottore per tutta la popolazione, il conosciutissimo dottor Dal Pino, popolarmente conosciuto come il “dottorone”, per la sua corporatura e per il suo modo di presentarsi impettito e burbero.
    Il dottore veniva interpellato molto raramente: gli adulti praticamente non ci andavano mai e per gli anziani c’era molta rassegnazione; si accettava che gradualmente perdessero la loro autonomia, perdessero la testa e piano piano si ritirassero nella loro camera e poi nel loro letto. Per i ragazzi veniva fatta un’eccezione e quando ci si ammalava veniva chiamato il dottore, con nostro grande dispiacere.
    Ammalarsi a quei tempi voleva dire prima di tutto stare obbligatoriamente a letto ben coperti e, nell’inverno, anche ben vestiti; oggigiorno non si vedono più bambini a letto quando si sentono male, perché le case sono riscaldate e confortevoli, in salotto c’è il divano e la televisione, si può passare il tempo al computer e perciò a letto si sta da ultimo e per forza. Ma 50-60 anni fa tutte le comodità a cui ho accennato non c’erano, le case non avevano il riscaldamento e la televisione e il computer erano ben lontani da arrivare. Tutto quello che la mamma poteva fare, appena si accorgeva che avevamo la febbre, era darci una bella tazza di latte caldo e metterci a letto. Poi se la febbre continuava, si andava dal dottorone che abitava nella villa Brunetti, al limite ovest del paese (successivamente si costruì la casa in piazza del comune) per chiedere che venisse a passare una visita al malato; bisognava andare per forza personalmente, perché il telefono non c’era e quindi l’unico modo di avvertire il dottore era andare a casa sua, naturalmente a piedi o al massimo in bicicletta.
    A quel punto in casa cominciavano le grandi manovre di quando si aspettava la visita di una persona importante, come appunto il dottore, oppure il prete per l’acqua santa, o un parente lontano, eccetera e che consistevano in una pulizia approfondita della casa, il cambio della biancheria del letto, la preparazione del lavamano con la brocca dell’acqua fresca e l’asciugamano più bello del corredo di casa. A pensarci oggi sembrano favole, ma invece la vita di paese e di campagna era proprio così! In tutte le famiglie, in circostanze del genere ci si comportava in questo modo e sembrava la cosa più opportuna da fare. E’ certamente significativo di come ci si sentisse inferiori rispetto a quelle che allora erano le autorità locali: il dottore, la balia, il prete, il farmacista, il proprietario del podere, il fattore.
    In questo lindore e nel profumo del “ginabrese” steso per l’occasione sui mattoni del pavimento di camera, si aspettava l’arrivo del dottore e al grido di qualcuno :”…eccolo”, la febbre saliva ancora di più. Il Dottorone era di poche parole, ma mi ricordo perfettamente le sue visite alla gola aiutandosi con il cucchiaio premuto sulla lingua e l’ascolto dei polmoni con l’orecchio appoggiato sulla schiena dopo che la mamma vi aveva velocemente steso un fazzoletto bianco candido, scelto tra i più belli del suo corredo. Alla fine il dottore si lavava le mani al lavamano e si asciugava a quel bellissimo asciugamano che altrimenti sarebbe invecchiato nell’armadio, dopo di che scriveva la ricetta delle medicine da prendere. Per ringraziare il dottore i contadini non potevano regalare altro che prodotti della campagna e quindi: uova, un fiasco di vino, un pollo, un po’ di frutta, a seconda della stagione. Per Natale i contadini non si dimenticavano mai di regalare al dottore un paio di capponi, allevati proprio per fare i regali alle persone più importanti del paese.

    I dolori veri arrivavano quando il dottore se ne andava, perché bisognava cominciare la cura che quasi sempre iniziava con un bel clistere di acqua tiepida e camomilla. Mi ricordo molto bene la macchina per fare i clisteri appesa ad uno scuretto della finestra, pronta per la sua funzione e gli urli di noi ragazzi che ogni volta ce lo dovevamo sopportare. La macchina che oggi non esiste più, se Dio vuole, aveva il serbatoio di vetro e un lungo tubo di gomma che terminava con il beccuccio provvisto di rubinetto di chiusura. Appena c’era qualcuno malato, la famigerata macchina faceva la sua comparsa, perché era opinione diffusa che prima di tutto bisognava liberare l’intestino e con quella macchina l’effetto era sicuro.

    Se c’era bisogno di punture, la mamma tirava fuori dal cassetto la scatola di alluminio che conteneva l’ago e la siringa di vetro; le siringhe monouso non esistevano e perciò tutte le volte che ce ne era bisogno, veniva tirata fuori la siringa di famiglia, che veniva sterilizzata facendola bollire. La puntura poi ce la veniva a dare la Renata, sorella del casellante Beppe della Pieve, che arrivava a casa nostra sul sellino posteriore del motorino del fratello.


    L’alimentazione per il malato comprendeva sempre la minestrina nel brodo di carne e la braciola cotta nel padellino; era un menù del tutto speciale, perché la carne, in condizioni normali, veniva mangiata poche volte alla settimana e quindi, da quel punto di vista, essere malati dava qualche vantaggio.
    Un rimedio dei miei tempi contro i raffreddori e i mal di gola erano gli impiastri di semi di lino; consistevano in una pappa di semi di lino bolliti, stesa su garze e avvolta in panni di lana. Gli impiastri venivano poggiati belli caldi sulla gola e tenuti fermi lì fino a che non raffreddavano; l’azione caldo-umida dell’impiastro scioglieva i catarri e dava sollievo sia alla gola che ai bronchi. Bisognava fare attenzione alla temperatura dell’impiastro perché a volte la mamma, nell’intento di ottenere il massimo beneficio, magari esagerava nella temperatura dell’impiastro e allora il giorno dopo ci si ritrovava con il torace un po’ scottato, ma l’importante era ritornare alle nostre attività abituali nel più breve tempo possibile.
    Per le distorsioni di caviglie e polsi c’erano le “chiarate” che credo abbiamo provato un po’ tutti, quando eravamo ragazzi; veniva sbattuto il chiaro dell’uovo e spalmato sulla parte indolenzita, dopo di che veniva fatta una fasciatura bella stretta. Il chiaro dell’uovo essiccando induriva la fasciatura che svolgeva lo stesso effetto di una ingessatura leggera; la fasciatura veniva rimossa dopo qualche giorno e, se il problema era solo legato ad una distorsione e non c’erano fratture, si era guariti. Miracoli della medicina popolare!
    Non ricordo di ragazzi con problemi di allergie o intolleranze alimentari; sinceramente credo che esistessero anche 50 o 60 anni fa, solo che c’era molta ignoranza sull’argomento e i bambini che starnutivano spesso o gli si arrossava la pelle, venivano definiti semplicemente “più delicati” e facevano la vita di tutti gli altri. I bambini stessi, pur di non passare come inferiori o strani facevano tutti gli sforzi possibili per fare tutto quello che facevano anche gli altri e le aie erano sempre animate di ragazzi in movimento continuo.
    Credo che la visita del dottorone, i ragazzi della Pieve di 50 anni fa se la ricordino tutti e credo che tutti oggi lo possiamo ricordare come uno dei personaggi che hanno caratterizzato un’epoca. A tale proposito sarebbe interessante che chi lo ha conosciuto lo ricordasse con qualche aneddoto, perché la storia, come già detto in più occasioni, è fatta proprio anche di fatti semplici di tutti i giorni.

    Edited by klistier-jungen - 3/11/2017, 11:45
     
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    Non condivido la parte sulle allergie.
    Posso essere anche molto pesanti e NON si può "simulare la salute"
     
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1 replies since 3/11/2017, 03:57   4368 views
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